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L'OSPITE DELLA SETTIMANA: ENRICO CRIPPA - EXECUTIVE CHEF DEL RISTORANTE TRISTELLATO PIAZZA DUOMO DI ALBA

in Personaggi - il 29 Marzo 2016

Uno Chef legatissimo ad un territorio magico ci apre le porte del suo ristorante nel centro di Alba, in concomitanza dell'uscita del menù di primavera e della pubblicazione del libro "Best of: Enrico Crippa" (Giunti Editore, n.104 pagine, 15,00 euro), per raccontarci la sua storia ed il grande amore che prova per la materia prima. Che, parola di Chef, è unica, e dovrebbe differenziare ogni singolo ristorante. Di origine brianzola, dopo i primi passi in Italia si è formato come tanti suoi coetanei in Francia, per poi passare direttamente in Giappone: da globetrotter della cucina, a grande innamorato di un territorio fantastico, il Piemonte l'ha stregata? Per i nati negli Settanta un passaggio in Francia era quasi obbligatorio, visto che le grandi brigate in Italia negli anni Novanta era pochissime, e per fare un'esperienza importante Parigi era la destinazione ideale. La Spagna non era ancora esplosa e la Ville Lumière rappresentava un primo punto d'arrivo, anche se il rigore, l'ubbidienza, la disciplina militaresca, erano all'ordine del giorno. A tutto questo ci sommi che lo Chef era una figura con una tale personalità che era quasi intoccabile, inoltre se eri italiano l'inserimento non era agevolato, anzi. Dopo tutto questo, l'apertura dell'Albereta con Marchesi, un ritorno in Francia per la seconda volta, e senza ripassare per il Bel Paese accetta la sfida dell'Estremo Oriente e vola in Giappone. Le lascio immaginare la differenza di atmosfera che si respirava nelle cucine nipponiche rispetto a quello che succedeva Oltralpe. Mentre a Parigi gli chef facevano la gara a chi urlava più forte, in Giappone venivi trattato in modo elegante e rispettoso, tant'è che ad un certo punto mi sono chiesto a cosa servisse così tanta disciplina. Oggi per fortuna si è arrivati ad un nuovo equilibrio, il responsabile della cucina non è necessariamente antipatico, non serve gridare come pazzi, anche se un certo rigore serve. Inoltre ricordiamoci che la professione dello chef è l'unica che ti mette alla prova due volte al giorno, anche se nel mio caso vivere in Piemonte aiuta: in un tale territorio la materia prima ha una qualità talmente elevata che è difficile rovinarla. Nel 2003 la svolta, e grazie ad una partnership con la famiglia Ceretto prende forma Piazza Duomo, un ristorante che in appena 9 anni ha guadagnato ben tre stelle Michelin. Sicuramente vivere all'interno di questo microcosmo mi ha aiutato tantissimo, da parte mia ci ho messo fantasia, creatività, colore, ma il vivere tra Presìdi Slow Food è un'autentica fortuna per chi esercita la mia professione. Pensi che io posso uscire dal ristorante ed avere una materia prima eccezionale come la tinca di Ceresole d'Alba, l'agnello sambucano, il coniglio grigio di Carmagnola, che mi permettono di realizzare dei piatti unici. Non tanto perché sono buoni o meno, ma perché appartengono a quel determinato luogo in quel determinato istante, e non sono replicabili. In poche parole è per questo che la mia cucina è meno "esportabile" di altre, ed alla fine è quello che ritrovi ancora in alcune trattorie, dove n.5 piatti con la stessa denominazione assumono n.5 peculiarità distinte. Immagino le richieste di delucidazioni arrivino copiose una volta terminata la cena, visto che i suoi piatti sono un autentico viaggio, dove si ritrovano i sapori della nostra infanzia. Diciamo che ho perso la consuetudine di uscire dalla cucina e di andare in sala a sentire se tutto è andato bene, ma se a fine cena un cliente chiede al maître di conoscere lo Chef, sono molto disponibile e lo invito tra i fornelli per fare due chiacchere. Perché i complimenti che mi fanno più piacere sono quelli legati ai piatti della memoria, dove il cliente ritrova i sapori di una volta: al ristorante, in fin dei conti, si va per mangiare e per ritrovare i nostri ricordi. Voilà!

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