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Intervista a Pietro Leemann - La cucina è diventata uno strumento straordinario per capirsi, è un linguaggio universale.

in Tesslife - il 13 Marzo 2023

Fin da piccolo cresce con l'amore per la terra e la natura, giocando e lavorando con i genitori nell'orto di famiglia. Questa esperienza è stata significativa per Leemann, tanto che lui stesso la considera come prima formazione.

In seguito gli studi alla scuola alberghiera, dai 16 ai 29 anni si dedica ai viaggi e alla formazione, in Svizzera e nel resto del mondo. Dopo aver fatto pratica e lavorato in ristoranti di cucina tradizionale italiana e francese, subisce la rivoluzione della "Nouvelle Cuisine" e della cucina creativa italiana, lavorando con maestri come Angelo Conti Rossini, Gualtiero Marchesi e Fredy Girardet.

 

Come ha trasformato la sua passione in un lavoro?

Ho iniziato quando avevo 16 anni. Una sera, un caro amico di famiglia ci portò una bavarese così straordinaria da farmi capire che quella era la strada che volevo intraprendere. Quell’uomo, Angelo Conti Rossini, è diventato il mio mentore per i primi anni della carriera e mi ha aiutato nella scelta dei primi posti dove fare esperienza. Grazie a lui ho mosso i passi giusti ma è stata la mia dedizione che mi ha spianato la strada. Fino ai 29 anni ho dedicato tempo ed energia a lavorare, studiare e migliorarmi. Un’altra cosa che mi ha formato molto sono state le esperienze all’estero.

 

La sua formazione in questo settore è quindi iniziata alle scuole superiori?

In Svizzera c’è una scuola-lavoro che dura tre anni, come una sorta di apprendistato. L’alberghiero in Italia è molto più teorico, in Svizzera invece questo tipo di istituti fanno in modo che i ragazzi escano da lì con un bel bagaglio pratico sufficiente per iniziare. Quando ho finito la scuola erano gli anni ottanta e la cucina aveva bisogno di un rinnovamento. Questo mi ha spinto ad avvicinarmi alla cucina vegetariana e a creare lo stile che porto avanti ancora oggi.

 

Nelle culture che hanno influenzato la sua cucina abbiamo un’asse Svizzera-Italia-Giappone…

Aggiungerei anche la Cina e l’India. Viviamo in un momento storico in cui le culture si sono avvicinate parecchio. Adesso ci sono molte persone che si intendono di cucina Argentina, Giapponese o Indiana. La cucina è diventata uno strumento straordinario per capirsi, come un linguaggio universale. Quello che fa la cucina del mio ristorante, il Joia, è proprio questo: cerca di unire le culture. Non è soltanto una cucina italiana con influenze etniche, ma prova ogni volta a mandare messaggi a persone diverse per unirle. 

 

Le ricette ormai non sono più soltanto la creazione di un piatto in sè, ma sono portatrici di emozioni e in questo caso forse anche di un messaggio…

Esatto. Il mio intento è di creare una cucina amica delle persone, del pianeta che ci ospita e di chi lo abita. È questo il filo conduttore del mio menu. Il piatto non è mai fine a sé stesso. Non è solamente un insieme di ingredienti: ogni volta porta un valore, un messaggio, spinge alla riflessione attraverso il gusto, i colori, le forme. E queste hanno sempre un senso, uno scopo.

 

Secondo lei, quanto è importante la formazione e che struttura dovrebbe avere in ottica di un inserimento nel mondo del lavoro?

L’istruzione è indispensabile, le ho dedicato 15 anni e tuttora non smetto di studiare e imparare. La vita è un viaggio straordinario di formazione che non smette mai di insegnarci qualcosa, capita però che a volte i tempi di apprendimento vengano saltati. Ci sono giovani che si ritrovino a 20 anni con una educazione manuale con cui in teoria potrebbero già lavorare, ma i tempi mentali sono tutt’altro, a quell’età non ha ancora vissuto tutte le esperienze necessarie per poter creare qualcosa di “completo” né per poter affrontare a pieno la gestione di una cucina. 

I primi anni servono proprio ad esplorarsi, a capire chi vogliamo essere e in che direzione vogliamo che la nostra cucina vada. La nostra società sta cambiando: molte persone fanno più attenzione a quello che mangiano e usano meno carne nella loro dieta, formarsi significa anche stare al passo con i tempi in questo senso. Nella mia previsione il 30% della popolazione diventerà vegetariano nei prossimi anni, e quindi chi cucina deve prepararsi a questo cambiamento. Anche la conoscenza degli ingredienti, da dove provengono, cosa succede durante la trasformazione da un punto di vista fisico e chimico. Il cuoco di oggi rispetto al cuoco di 40 anni fa ha bisogno di molta più conoscenza e formazione: il cliente si aspetta molto di più.

 

Come immagina quindi la cucina del futuro?

Meno sprechi, meno carne. Non solo per le questioni ambientali o salutistiche che conosciamo tutti, ma proprio perché c’è un cambio nella coscienza delle persone che si stanno sempre di più avvicinando alla natura e agli animali. Alla luce di questo anche un cuoco ad un certo punto si sentirà a disagio a cucinare la carne e andrà alla ricerca di stimoli diversi. 

 

Tutto questo, secondo lei, sarà possibile abbracciando la tradizione o ci spingeremo sempre di più verso l’avanguardia?

La tradizione italiana è ricchissima di piatti vegetariani. Pensiamo banalmente al piatto più mangiato in italia: la pasta con il pomodoro. Anche quello è vegetariano. Dal nord al sud poi ci sono una varietà e una qualità di verdure straordinarie e questo di certo aiuta e stimola. E’ facile quindi dirti qual è il mio auspicio: che non si vada troppo sul tecnicismo ma che ci si mantenga sulla semplicità e sulla trasformazione più naturale possibile delle materie prime. Una rapa, cotta bene e accompagnata con una salsa avvolgente e ricca di sapore, è già un viaggio straordinario.

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