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Il piacere del Cioccolato di Sergio Marchese

in Rassegna Stampa - il 05 Agosto 2019

Articolo tratto da La Repubblica - Le Guide de l'Espresso del 03 Agosto 2019

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Il mio rapporto con il cacao e il cioccolato di pregio è cominciato oltre vent’anni or sono. Allora, partecipai ad alcune degustazioni mirate che avevano l’obiettivo di mettere a punto una specifica terminologia per descrivere minuziosamente l’analisi sensoriale dei “monorigine”: vale a dire le diverse tipologie di cioccolato ottenute, ciascuna, con l’esclusivo impiego del solo cacao proveniente da una zona ben determinata. Fatte le debite proporzioni, nel caso del vino il concetto sarebbe quello del “cru”. Come tutte le specie botaniche edibili, infatti, anche questa pianta risente in maniera importante delle condizioni microclimatiche nelle quali avviene lo sviluppo vegetativo ai fini delle risultanze organolettiche finali dei frutti e degli eventuali derivati.

Nel mondo, i paesi vocati sono molti e spesso assai lontani l’uno dall’altro. Eccone alcuni: Colombia, Guatemala, Trinidad, Venezuela, Ecuador, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Giamaica, Cuba, Honduras, Grenada, Brasile, Perù, Costa Rica, Madagascar, Papua Nuova Guinea, Tanzania, Vietnam. Così, tra i Tropici e l’Equatore, negli assaggi ci si può imbattere nella delicata finezza di un “Guatemala”; nell’intensità aromatica di un “Perù”; nella raffinata eleganza di un Venezuela; nell’inestinguibile e polposa suadenza di un “Madagascar” o nella fruttata freschezza di un insolito Vietnam. Le sensazioni che si possono percepire in realtà sono tantissime: fragoline di bosco, ribes, lamponi, mirtilli e more; ciliegie e prugne; albicocca e pera essiccata; corbezzoli e sorbole; frutta secca; caffè; tabacco e legno nobile. La confidenza con le note gustative proprie dei monorigine consente naturalmente di rintracciarne la presenza nei “blend” proposti dalle aziende trasformatrici seguendo formule alchemiche tenute rigorosamente segrete. Le possibili variabili del confronto gustativo crescono tenendo conto del fatto che nelle prelibate “tavolette” della sostanza anticamente cara agli dei, la quantità di cacao oscilla mediamente dal 60 all’85%.

Una piacevole conseguenza si ripercuote inevitabilmente nel gioco degli abbinamenti del cioccolato con il rhum, i sigari oppure, cosa che prediligo, con i vini quali il Brachetto d’Acqui, il Sagrantino di Montefalco Passito, la Vernaccia di Serrapetrona o un Banyuls, una rara gemma enoica transalpina. Ma si potrebbe arrivare addirittura, perché no, ad un Barolo Chinato: le prospettive sono le più disparate. Negli ultimi tempi, il livello qualitativo del cioccolato si è evoluto sensibilmente per un preciso motivo. Ce lo spiega Alessio Tessieri, un bravo artigiano del settore dolciario, titolare della scuola di alta cucina e pasticceria che si trova a Ponsacco, in provincia di Pisa. Qui, con il marchio “Noalya Cioccolato Coltivato”, elabora una trentina di versioni della prelibata leccornia. Il suo parere: “L’esperienza ci ha fatto capire che la possibilità di gestire direttamente la conduzione delle piantagioni comportava immediatamente un notevole miglioramento nella produzione del cacao. In Venezuela, per esempio, abbiamo acquistato un’area particolarmente vocata e lì, ed altrove, abbiamo imparato ad affidarci alla collaborazione di agronomi competenti e manodopera specializzata, creando una preziosa fonte di benessere economico ed emancipazione sociale”.

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