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Quando la Quaresima era tempo di… Baccalà

in Tesslife - il 25 Marzo 2021

C’è stato un tempo in cui il vero e unico re della tavola della Quaresima era il baccalà. La parola deriva dal portoghese Bacalhao, la quale a sua volta sembrerebbe essere una storpiatura del fiammingo bakkalium, ma quella del baccalà è una storia straordinaria che pochi conoscono.

Tutto inizia nel 1432 quando un mercante veneziano, Pietro Querini, salpato con la sua nave in direzione delle Fiandre, naufragò e finì, con una manciata di superstiti, addirittura fino alle latitudini più estreme del Circolo Polare Artico.

A trarre in salvo quella manciata di uomini disperati furono alcuni pescatori che vivevano sulle isole Lofoten (che oggi appartengono alla Norvegia), e fu lì che Querini e i suoi vennero a conoscenza del metodo di conservazione del merluzzo che veniva appeso per essere essiccato al vento freddo del nord. In questa maniera il pesce poteva conservarsi per mesi e mesi.

Querini tornò a Venezia senza più la sua nave, ma con una cassa di stoccafisso (stock fish appunto) e non poteva immaginare che da lì a qualche decennio, in pieno clima controriformistico, quel pesce venuto dal nord sarebbe diventato la materia prima ideale per nutrirsi durante il periodo della Quaresima, quando la Chiesa Cattolica istituì il precetto per cui i fedeli dovevamo mangiare cibi magri e, appunto, pesce. Per chi viveva nell’entroterra, infatti, la pratica non poteva essere proprio semplicissima, ragion per cui il pesce essiccato (o conservato sotto sale) si rivelò la soluzione ideale.

In Italia stoccafisso e baccalà si diffusero un po’ ovunque, in Veneto naturalmente dove il baccalà alla Vicentina e il baccalà mantecato sono ancora oggi dei piatti insieme popolari e ricercatissimi, difesi a oltranza da vere e proprie confraternite di puristi, ma anche nelle Marche o a Napoli, dove o pezzell’ e baccalà (filetto di baccalà fritto) si mangia, paradossalmente, soprattutto a Natale, e in Sicilia. A Messina, ad esempio, il pesce stocco a ghiotta (cucinato cioè con olive, patate, capperi, cipolla e pomodoro) è il piatto cittadino per eccellenza: un altro paradosso incedibile se si pensa che in una città al centro del Mediterraneo a diventare il re della tavola è diventato un pesce dei mari del nord.

Oggi il baccalà, col suo basso contenuto di grassi e la sua versatilità, è una materia prima amatissima dagli chef e dai consumatori. L’Italia è il secondo paese al mondo in cui se ne mangia di più, dietro al Portogallo, dove si dice che esistano 365 modi per cucinarlo, uno per ogni giorno dell’anno. Altro che limitarsi alla Quaresima, insomma!

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